Max Gasparini

Mostra personale a cura di Virgilio Patarini (Padiglione Islanda)

 

Gasparini persegue un intento alchemico. Il suo incontro con la materia fisica conduce a un movimento di costante trasformazione simbolica, di elevazione dal pesante al leggero, dal profondo nero vite di Germania di cui sono intrise le sue tele grezze alle visioni di Mnemosyne, la memoria mitica con gli occhi chiusi in un sonno vigile e perfetto. Dal piano della terra pesante e scura del pigmento naturale al piano sottile e simbolico della rappresentazione di una divinità, simbolo del pensiero stesso.

Il pensiero mitologico classico individua nella memoria, Mnemosyne, madre delle nove Muse, la conditio sine qua non del pensiero. Sapere è ricordare per Socrate come, in senso lato, per la psicologia del ‘900, ricordare è il sistema che struttura l’identità.

Si tratta di un lavoro che indaga, con esiti esteticamente rilevanti, l’identità culturale, le origini mitiche e misteriche del pensiero e della coscienza occidentali. Il discorso che si produce ascoltando insieme i suoni prodotti dai singoli lavori ha il valore epigrafico e misterioso di una lamina orfica, il ritmo poetico di un procedere per suggestioni, silenzi e apparizioni isolate.

Questo movimento, nel lavoro di Gasparini, esprime un sincero e ardente sforzo estetico. Uno sforzo che impegna l’indagine sensitiva del rapporto tra i colori, le forme e i materiali e contemporaneamente invita sul piano conoscitivo a un travalicamento dei confini materiali. 

La materia e i materiali, nella ricerca di questo artista, divengono occasioni di ulteriore narrazione, di studio e scoperta di un linguaggio mediato tra la forma e il caso. Nelle lamiere come nelle tele grezze questo è evidente: Gasparini osserva la materia del supporto pittorico con uno sguardo sciamanico e vi scopre un intrico di piste simboliche. Dall’abilità di percorrere queste suggestioni prendono forma le sue visioni, le figure e i racconti magici dei suoi quadri.

Le figure della sua pittura sono elementi in un percorso iniziatico di una progressiva perdita di umanità, la seduzione dei profili, dei corpi e delle loro posizioni icastiche è una seduzione mistica. L’estasi orfica di un consapevole scivolamento nel trascendente.

L’abilità di estrarre la statua dalla materia grezza della pietra, di liberare il corpo imprigionato, oltre le assonanze michelangiolesche, ha un sapore metafisico senza tempo. Nei quadri di Gasparini le figure sono come ricavate dal caos informe dei materiali grezzi utilizzati infatti per questo non solo come supporti ma come materia scultorea della trasformazione operata da un sapiente uso del mezzo pittorico. La sperimentazione sul piano della tecnica è un altro importante elemento del lavoro di questo autore. L’uso di supporti “impropri”, “impuri” o resi tali da un pesante intervento di sporcatura è un passaggio fondamentale di questo gioco di smascheramento, scoperta e sorpresa che anima il modus operandi estetico e concettuale di questa ricerca. Ad esso si aggiunge un interesse per il “non finito” con cui si produce un effetto di epifania incerta e temporanea come di coscienza appena sfiorata che esplicita il valore dei contenuti in un modo estremamente efficace e riuscito. Un’ulteriore elemento della sperimentazione è, poi, l’acqua cui si mischia la terra del pigmento e che lascia forti tracce sulla tela come in tutto il tono misterico delle ultime propaggini della ricerca di Gasparini.

Questo tono risulta dall’approccio filosofico di Gasparini alla ricerca di un senso mitico dell’immagine oltre la mimesi realistica che è senz’altro un impeto non trascurabile del suo lavoro. Senza però che questo lo conduca mai nel gorgo dell’ermeneutica, i suoi quadri e le sue figure manifestano una volontà ostensiva, sono ciò che sono al di là di ogni possibile coinvolgimento. Dei ed eroi e non santi, queste figure segrete e ipogee non ci raggiungono al cuore ma risuonano nello spirito come moniti, formule o ermetici glifi.

 

Maria Zanolli