Koinè 2012

60 artisti della Galleria Zamenhof per una lingua comune dell'arte contemporanea

A cura di Valentina Carrera e Virgilio Patarini

Opere di Franco Maruotti, Paola Gamba, Roberto Fruggeri, Giuseppe De Michele, Anna Maria Bracci, Alberto Besson, Walter Bernardi, Marco Bellomi, Salvatore Alessi, Marco Ruffini, Marco Bozzini, Enza De Paolis, Amina Redaelli, Kay Pasero, Alessandro Crini, Leonardo Balbi, Mara Gessi, Andrea Greco, Paolo Lo Giudice, Angelo Petrucci, Paolo Facchinetti, Giorgio Carluccio, Giuseppe Orsenigo, Laura Di Fazio,  Siberiana Di Cocco, Vito Carta, Marino Benigna, Simone Azzurrini, Ako Atikosse, Mariangela Tirnetta, Raffaele De Francesco, Maurizio Molteni, Salvatore Starace, Milena Pedrollo, Michele Recluta, Rosa Spina, Giacinto Ferrero, Angela Keller, Lorenzo Curioni, Luciano Valensin, Consuelo Rodriguez, Ersilietta Gabrielli, Lisa Sabbadini, Daniela Doni, Arianna Loscialpo, Esa Bianchi, Ilaria Battiston, Marco Cressotti, Pedotti Lucio, Bordin Fiorenzo, Clara Zambotti Luminoso, Edoardo Stramacchia, Sasha Zelenkevich, Moreno Panozzo, Fabio Cuman, Luigi Profeta,  Stefano Accorsi, Simone Boscolo. 

 

Lo scolabottiglie arrugginito  

 

C’è un’eredità che giace da molti anni in attesa di qualcuno che se la prenda. 

Una straordinaria, ricchissima, problematica, contraddittoria eredità. Un’eredità che si è andata accrescendo generazione dopo generazione, nel corso di quasi tutto il Novecento, poichè ogni nuova generazione rinnegava sistematicamente il lascito della generazione precedente e, coerentemente, cercava altrove la propria fortuna, attingeva da altre fonti i propri tesori. Così decennio dopo decennio tale eredità cresceva a dismisura. Cresceva e si complicava. Una eredità in cerca di eredi: l’eredità dell’Arte del Novecento. 
Ma più passa il tempo più la faccenda si complica. E certi lasciti rischiano di apparirci oggi inutile (e inutilizzabile) paccottiglia da robivecchi. Lo scolabottiglie di Duchamp si è arrugginito. L’Urlo di Munch riecheggia lontano, sempre più lontano. E il taglio di Fontana vien voglia di ricucirlo ... 
Credo che oggi, dissolto il miraggio del nuovo a tutti i costi e smaltita la lunga, secolare sbornia delle Avanguardie, uno dei compiti che attende l’artista “post-moderno” sia quello di elaborare un linguaggio, una “koinè”, che attinga a vocaboli, sintassi e regole estetiche e grammaticali di diversa provenienza (meglio se di matrice novecentesca) e che sia in grado di contaminare e possibilmente far conflagrare almeno alcuni degli universi di segni che le varie Avanguardie hanno creato nel corso del secolo scorso e ci hanno lasciato come eredità... 
Che cosa stiamo aspettando? 
No. Per la verità non tutti stanno aspettando. Non tutti nel panorama dell’arte contemporanea brancolano alla ricerca di improbabili novità e trovate da avanspettacolo da dare in pasto ai mass-media per far gridare al miracolo, magari solo per un giorno. (Già. L’Avanguardia oggi si è mutata in Avanspettacolo mass-mediatico). 
Non tutti. Molti ce ne sono che lavorano nella giusta direzione.  
Eppure la sensazione generale (e forse solo superficiale) che si ha leggendo riviste specializzate, cataloghi di mostre, recensioni, interventi critici, ma anche ascoltando semplicemente il chiacchericcio di tanti addetti ai lavori... la sensazione generale, dicevo, è che si continui pervicacemente ad ignorare l’eredità di oltre un secolo di ricerca nell’arte, spasmodicamente continuando a cercare la “novità”, il colpo di scena, la trovata estemporanea. “Continua a stupirmi che per avere successo è necessario stupire”,dice Enzo Cannaviello (vedi “Arte”, n° 397, pag.106). Siamo d’accordo. 
A me pare che molto spesso si confonda l’efficacia di comunicazione mass-mediatica di un eventuale “messaggio” con la validità assoluta dell’opera d’arte. L’opera d’arte non può essere ridotta al messaggio. Nè tanto meno ad un solo messaggio. L’arte non è solo comunicazione. E soprattutto non è comunicazione “univoca”.Il fatto è, credo, che la relativa facilità nel creare un “effetto-novità” utilizzando i mass-media dominanti (riviste, televisioni, internet) ha artatamente prolungato l’inerzia di una idea che diversamente avrebbe già da tempo esaurito la sua spinta: l’idea “avanguardistica” del nuovo ad ogni costo. 
Così siamo vittime di una sorta di illusione ottica, allucinazione collettiva: accecati da vacui ed effimeri fenomeni di superfice (che tuttavia hanno spiccatissima visibilità), non notiamo o sottovalutiamo realtà decisamente più di sostanza e storicamente, forse, più rilevanti. 
Sono molti infatti gli artisti che vanno nella direzione di una ricerca strutturata, articolata, ricca di rimandi e contaminazioni. Ed alcuni di essi lo fanno con grande abilità e consapevolezza. Tuttavia non hanno i riflettori puntati addosso, e per questo risultano quasi invisibili. Quasi invisibili ma presenti, operanti. Come formichine costruiscono l’arte del futuro, mentre le cicale rilasciano interviste alla televisione. Poi un giorno i riflettori si sposteranno, le telecamere della storia dell’arte faranno una carrellata sul panorama di questo inizio di secolo e balzerà agli occhi di tutti un grande, prodigioso formicaio: l’arte del futuro sarà lì, e ci sembrerà essere sbucata dal nulla. E solo allora vedremo le innumerevoli “formichine” e, a giudicare dal loro operato, daremo loro il ruolo che meritano e ne intenderemo la statura. 

Virgilio Patarini